La socialità è una caratteristica distintiva dell’esperienza umana: facciamo affidamento sugli altri per garantire la sopravvivenza e cooperare in reti sociali complesse per prosperare. Abbiamo bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi alla nascita per soddisfare bisogni di sopravvivenza che altrimenti non troverebbero gratificazione e in base alla disponibilità più o meno presente dei caregiver, ovvero delle persone che si prendono cura di noi, si definiscono modalità relazionali e si creano modelli operativi tramite cui si legge il mondo e se stessi.
Questo può andare a determinare la psiche di un individuo, ma può anche associarsi a determinati profili fisiologici di base che favoriscono stati di malattia. Tre sono le vie mediante cui si determina una maggiore sensibilità alla malattia in base alla disponibilità o meno del caregiver nei primi periodi di vita, dove la mancata o inadeguata soddisfazione dei bisogni di base:
· Genera una risposta da stress intensa e duratura che rimane in memoria per queste sue caratteristiche di intensità e durata anche in età adulta
· Compromette la capacità protettiva della rete sociale nel chiedere e ricevere aiuto sia in età adulta che in età evolutiva
· Genera strategie compensatorie nella regolazione di stati emotivi, come comportamenti di dipendenza (alcool, fumo, cibo, gioco, ecc.), in quanto l’inadeguatezza del caregiver fa venire meno la capacità dell’individuo di mentalizzarli tramite elaborazioni simboliche e cognitive
Recentemente l’importanza della socialità e la priorità che il nostro sistema gli conferisce viene evidenziata ancor più dalla letteratura scientifica che sottolinea come nel processo di apprendimento, il sistema nervoso dia priorità di consolidamento a compiti e tracce sociali rispetto a quelle non sociali, cioè a quelle cose che ci vedono in relazione con l’altro. Ciò che viene appreso sono le caratteristiche della relazione.
Le neuroscienze hanno inoltre sottolineato come questo accada in merito alla connettività di un network cerebrale specifico chiamato DEFAULT MODE NETWORK. Questo coinvolge corteccia prefrontale e parietale, rimane spento in condizioni di stress, impedendo così il consolidamento e l’aggiornamento di nuovi dati in merito alla relazione col contesto. In parole semplici viene meno la capacità di autoregolazione e con essa l’elevata probabilità di alterare lo stato di salute. Risultato: ulteriore aumento degli effetti negativi di una intensa e protratta risposta da stress.
Come poter sfruttare queste evidenze scientifiche a sostegno di una longevità in salute? Tecniche di regolazione emotiva e di consapevolezza sembrano essere di notevole aiuto in merito. Inoltre, come mostrato da un recente studio, 10 minuti di respirazione profonda più 10 minuti di ascolto attento delle proprie sensazioni corporee sembrano avere come effetti già in acuto un miglioramento di abilità emotive e cognitive e un conseguente miglioramento della capacità di autoregolazione. Usare questa tecnica quando si sente che si sta per perdere il controllo o come esercizio quotidiano migliorerà le capacità di autoregolazione e con queste la propria salute.
BeLONGEVITY nasce per aiutare concretamente tutti a conoscere ed applicare queste straordinarie informazioni della scienza.
Baldoni F. Mentalizzazione e integrazione psicosomatica del Sé. Il Mulino, 2014
Jimenez CA et Al. The dorsomedial prefrontal cortex prioritizes social learning during rest. Proc Natl Acad Sci U S A, 2024, DOI: 10.1073/pnas.2309232121
Mauder RG et al. Attachment relationships as determinants of physical health. Journal of the medical academy of psychoanalysis and dynamic psychiatry, 2008, DOI: 10.1521/jaap.2008.36.1.11
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